INTERVISTA A KITTY CROWTHER
Babalibri ha intervistato Kitty Crowther, vincitrice nel 2010 del prestigioso premio Astrid Lindgren Memorial Award, per poterla conoscere più da vicino.
Kitty, dove sei cresciuta, quali studi hai fatto, come sei approdata ai libri per bambini?
Sono nata da padre inglese e madre svedese. Sono cresciuta nella bella Bruxelles… con un piede a Bruxelles e uno in Olanda, in riva al mare. Da qui la grande importanza che l’acqua ha nei miei libri. Una sorella grande che disegnava sempre e, come tutte le sorelle minori, io volevo fare lo stesso. Ho avuto dei genitori innamorati della letteratura. Convinti della forza dei libri. Convinti della carica che hanno le storie. Mio padre eccelle nell’arte di raccontare così come mia nonna inglese (i motti di spirito e l’umorismo nero sono d’obbligo). Poiché sono non udente (e fiera di esserlo oggi) non è stato semplice. Il linguaggio, la comunicazione delle parole hanno così tanta importanza… peccato che non ci si parli danzando (io voto a favore). Per molto tempo ho creduto di essere un’incapace. A forza di insistere e senza mai scoraggiarmi, ho lavorato tantissimo per arrivare dove sono arrivata. A 17 anni sapevo già che avrei scritto libri per bambini. Volevo seguire le orme degli adulti che appartenevano al mondo dei libri per bambini. Ho respirato un genere di felicità che mi si confaceva. La cara Astrid Lindgren, la deliziosa Beatrix Potter, Maurice Sendak, Tomi Ungerer, Quentin Blake, Arnold Lobel, e tanti altri… Ho studiato illustrazione. E molto presto ho pubblicato presso Pastel. A 24 anni. Ho lavorato in tandem per 15 anni con Christiane Germain, editrice e amica. Non sono sicura che sarei diventata Kitty Crowther senza di lei. Siamo state molto affiatate.
Come mai hai scelto di lavorare nel mondo dei libri per bambini?
Ho ricevuto libri meravigliosi che mi hanno reso così felice, così piena di speranza, di voglia di felicità, di umanità… che a mia volta ho voluto restituire… Amo così tanto le storie. Fanno sempre bene. I dottori dovrebbero prescrivere uno sciroppo per la gola, un’aspirina, del riposo e tre magnifiche storie…
Quali sono, secondo te, gli aspetti fondamentali da prendere in considerazione quando si vuole scrivere un libro per bambini?
Essere il più sinceri possibile. Non cercare ricette pronte o utilizzare trucchi del mestiere. Non funziona per molto tempo. Cercare di ascoltare la propria musica interiore. Provare un gran piacere quando si scrive.
Le storie raccontate nei tuoi libri sono attinte dalla tua autobiografia o appartengono all’infanzia in senso lato?
Sono un gran miscuglio. Sono tutte un riflesso della mia anima. Se posso esprimermi così. Ma sono uniche, nel senso che hanno una loro personalità, una loro propria vita. È per questo che è così piacevole scrivere i Poka et Mine. Perché quando scrivo una storia su di loro è come se passassi il fine settimana in loro compagnia. E mi piace moltissimo.
Ci puoi raccontare un aneddoto che ti è successo lavorando con i bambini?
Un giorno sono andata in una classe, c’era una bambina ruandese di 5-6 anni. Aveva assistito all’assassinio dei suoi genitori durante quella terribile guerra. Ho raccontato la storia di Moi et rien (Io e niente, Almayer Edizioni). In questa storia la mamma è morta. La bambina non parlava. Si rifiutava di parlare. Alla fine dell’incontro (dopo 2 ore e mezza) mi è venuta vicino e mi ha stretto forte forte la mano senza guardarmi. Ero molto commossa.